A Cutro la memoria ha messo radici. Ma continua il naufragio dell’umanità
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Da quel tragico 26 febbraio di due anni fa 5.400 persone hanno perso la vita nel Mediterraneo. È il numero che Oim, Unhcr, Unicef forniscono alla vigilia del secondo anniversario della strage di Steccato di Cutro. Dunque nulla è cambiato da quel giorno.
È con questa amara consapevolezza che la carovana di auto partita da Crotone arriva alle 4 del mattino presso la spiaggia della morte. Sono in trecento circa a questa veglia notturna. Più o meno gli stessi dell’anno scorso. Non sono i ventimila della manifestazione sulla spiaggia del 12 marzo 2023. Ma è il segno che la memoria a queste latitudini ha comunque messo radici. Perché non accada mai più.
IL CIELO È STELLATO, una leggera brezza da ponente avvolge le persone che a gruppi calpestano l’arenile e si avvicinano a riva muniti di candele. Il freddo è secco, pungente. Il mare è piatto. È una processione laica per non dimenticare. Ci sono esponenti della comunità musulmana con gli imam locali e i preti di questa periferia del meridione dimenticato, rappresentati da Francesco Savino, vescovo di Cassano e vicepresidente della Cei. Ci sono attivisti e persone comuni. Assente il sindaco di Crotone, Enzo Voce, e l’omologo di Cutro, Antonio Ceraso.
Non molti i rappresentanti politici. La segretaria del Pd, Elly Schlein, ha deciso all’ultimo di esserci. Come l’anno scorso. Reduce dalla Camera, ha preso l’ultimo volo per Lamezia e a mezzanotte è sbarcata in Calabria con Marta Bonafoni. Esattamente due anni fa venne eletta segretaria alle primarie dem. Ai cronisti e ai militanti esprime la richiesta di «verità e giustizia affinché si dia risposta a una domanda semplice che facciamo da due anni: perché non sono salpati i mezzi adeguati per salvare quelle vite? C’è un’inchiesta aperta e questo non ci compete. Ma c’è una domanda politica la cui risposta va data alle vittime e ai familiari».
DALL’INCHIESTA di cui parla Schlein è poi scaturito un processo, prima udienza il prossimo 5 marzo. Per i sei militari della Guardia Costiera e della GdF l’accusa è di naufragio e omicidio colposo. È un tornante decisivo in questa affannosa ricerca di verità. La pretendono i movimenti dalle cui denunce è partita l’indagine. Il timore è che tutto finisca in prescrizione. È già successo a Lampedusa, nella più grave tragedia della storia migrante. Potrebbe succedere ancora. Oltre a Schlein, nutrita è la delegazione dem: i parlamentari Nicola Irto e Nico Stumpo e l’eurodeputato e giornalista Sandro Ruotolo.
Da quando il partito calabrese lo guidava Marco Minniti sembra passata un’era geologica. Presenti il segretario di Rifondazione, Maurizio Acerbo, il consigliere regionale, Ferdinando Laghi e il parlamentare e segretario di Democrazia solidale, Paolo Ciani. Nutrita la composizione sociale dei movimenti e dell’associazionismo antirazzista: da Lorenzo Trucco dell’Asgi a Filippo Sestito dell’Arci. E poi ci sono le Carovane Migranti che partite dalla Campania hanno attraversato i territori dello sfruttamento e del caporalato. Fino ad arrivare qui a Steccato dove a naufragare è stata l’umanità.
Lo capisci ascoltando il racconto di Assad al Maliki. È uno dei superstiti di quel 26 febbraio 2023 quando vide morire di freddo il fratellino che aveva tra le braccia mentre cercava di tenerlo a galla nel mare in tempesta. Oggi vive in Germania, ad Amburgo, studia il tedesco e lavora come parrucchiere. Con lui c’è lo zio Algazi Feras, anch’egli scampato al naufragio, e due cugine che già si trovavano in Germania. «I ricordi – dice – sono ancora forti. Sogno sempre quello che è accaduto. È difficile da superare. Noi sapevamo cosa facevamo. Non avevamo scelta. In Siria eravamo sempre a rischio di morte. Siamo venuti in Italia per cercare la pace, una vita migliore, dei diritti».
LA SPERANZA la cogli negli occhi di Vincenzo Luciano, il pescatore che da solo tentò di salvare quante più vite possibili quella notte maledetta. E il senso dello stato lo avverti nell’analisi tecnica dell’ammiraglio in congedo Vittorio Alessandro, ex comandante generale delle capitanerie: «La tragedia di Cutro non fu un incidente, ma l’esito della sovrapposizione di norme becere su un impianto di regole del soccorso che è straordinario. Mettiamo allora insieme i tanti episodi simili a Cutro e poi guardiamoci negli occhi: le persone, a prescindere, vanno salvate o no?».
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