Giorgio Armani. Lo stile diventa politica: l’eleganza è un atto di pace

Mai fidarsi delle apparenze. Soprattutto quando si tratta di Giorgio Armani. Solo perché fisicamente non è apparso alla fine della sfilata eponima per la primavera-estate 2026 per una messe di meritati applausi, non ha significato che non fosse partecipe. Anzi, mai come stavolta la sua assenza – dovuta a un periodo di convalescenza da una breve malattia – ne ha amplificato il carattere: una videochiamata per correggere un risvolto, un messaggio WhatsApp che arriva dieci minuti dopo l’orario ufficiale di inizio show ("perché la sfilata non è già partita?"), il team in backstage come una corte in attesa di segnali.
Armani ieri c’era eccome, come quelle presenze che si sentono anche a occhi chiusi, come il profumo di Pantelleria prima ancora di vederne i colori. E all’isola era affidata la scenografia, dove lucide rocce nere contrastavano un fondale di azzurri e arancioni intensi che sembrano rubati all’ora del tramonto. Sono proprio i colori che Leo Dell’Orco – responsabile del design della linea uomo di Armani – rivendica come manifesto della stagione. La palette blu pantesco (un blu che non è solo una tonalità, ma uno stato mentale, una pausa, una sospensione temporanea del caos) accesa da rosa pallido, acquamarina, buganvillea e ciclamino, azzurro polvere, caffè, grigio nuvoloso, nero denso, si unisce come una dichiarazione di pace tra elementi che altrove si combatterebbero.
Non un melting pot, ma una democrazia cromatica: l’Oriente e l’Occidente si danno la mano, il Nordafrica mormora al Mediterraneo, e nessuno rivendica la supremazia. In un’epoca in cui la guerra è di casa anche nella mente più pacifica, e la convivenza sembra diventata un lusso raro, Armani fa una scelta che a noi sembra – nella migliore accezione – dichiaratamente politica: definire un’eleganza che sia luogo di pace e compatibilità di contrasti. Sfilano così abiti che non impongono, ma invitano. La sartorialità è svuotata di quella solennità che nei decenni passati era cifra di successo: giacche doppiopetto con colli a scialle (abbassati come a voler suggerire che anche il potere, ogni tanto, può prendersi un giorno di vacanza); pantaloni ampi, a pinces, chiusi alla caviglia o lasciati liberi di ondeggiare sopra mocassini pastello e sandali in cuoio. L’intera silhouette si fa leggera, mobile, fluttuante: non c’è costrizione, ma una libertà attentamente sorvegliata – perché solo chi conosce davvero le regole può permettersi di giocarci così bene. Trench di pelle che pesano quanto una camicia d’estate; maglie avvolgenti che sono insieme corpose e impalpabili; bluse chiuse come kimono o simili a tuniche nordafricane; borse ampie, portachiavi e cinture a nodo, un gioco in cui ogni accessorio è il vezzo di chi porta il mondo su di sé con nonchalance.
Questa non è l’eleganza formale del turista che colleziona timbri, ma di un viaggiatore colto che mescola città e vacanza, Nord e Sud, scoprendo magari che la sintesi più riuscita risieda nella differenza. Un giorno, magari, ci racconteranno che l’unico antidoto all’angoscia dell’oggi è riscoprire la gentilezza del dettaglio e il piacere della diversità: intanto, Armani anticipa la lezione. La sfilata fluisce come un dialogo ininterrotto tra superfici e grafismi, tessuti che si intrecciano o simulano intrecci, motivi zig-zag che parlano di altre geografie, berretti in maglia e cappelli di rafia che sanno d’Africa e d’estate italiane.
C’è di più: in questa rilassatezza si cela la più sottile delle trasgressioni. Se il mondo fuori urla, qui la risposta è un sussurro; se ovunque si corre, qui si cammina piano, alla ricerca di un modo nuovo di pensare il tempo. Ribattezziamolo “escapismo garbato”, il che non significa fuggire dalla realtà, ma trovarle un’alternativa. E se, come dice dall’Orco "si riparte dall’ABC dell’eleganza", allora forse il gesto rivoluzionario è tornare a respirare con calma, concedersi il privilegio di essere semplici in un mondo che ci vuole artificiosamente complessi.
Così si chiude un’altra fashion week maschile: e Milano, per pochi minuti, diventa quel luogo sognato dove la bellezza è un diritto, la pace una sfumatura meravigliosa e la grazia è una dichiarazione di coraggio: dolce, tranquilla. Ma irresistibile.
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