La caduta di Bayrou e il rebus di Macron: la crisi della Francia

364 no contro 194 sì
“Avete il potere di rovesciare il governo ma non la realtà”, scandisce il premier francese prima della sfiducia. La palla a Macron, che tenterà di escludere di nuovo la sinistra dal governo

“Avete il potere di rovesciare il governo non la realtà. Quella rimarrà inesorabile”, scandisce Francois Bayrou nel suo ultimo intervento da premier di fronte al Parlamento francese. La realtà è “un debito pubblico che già insostenibile diventerà sempre più pesante”, il terzo d’Europa dopo Grecia e Italia. Ma la realtà è anche i deficit più alto dell’Unione, lo spread in salita rapida, l’impossibilità di tirarsi fuori dalla procedura d’urgenza che ha colpito la Francia come l’Italia e altri Paesi ma dal quale l’Italia dovrebbe riuscire a emergere, tornando al 3% di deficit già nel 2026. Nasce da questa difficoltà quella manovra da 44 miliardi, a spese delle fasce medie e povere, che è costata a Bayrou il posto e che mette Macron di fronte al rebus di una crisi al buio di difficilissima risoluzione.
Bayrou sa di avere poche chances e pochissime carte da giocare. Ci prova lo stesso. Promette ai socialisti “un tipo di contributo che richieda redditi molto elevati e individui con un patrimonio netto molto alto”. È quella tassa per i ricchi che lui stesso aveva escluso pochi giorni fa affermando che in caso contrario i nababbi avrebbero trasmigrato in altri Paesi. Come l’Italia accusata dal premier francese, a torto, di fare “dumping fiscale”. Alla destra del Rassemblement national, che i sondaggi danno per vincente ove si arrivasse a nuove elezioni per il Parlamento, fa balenare a promosse di “accogliere alcune proposte legate all’assistenza medica statale”. È un cavallo di battaglia di Marine Le Pen, che la vorrebbe abolita. Il premier condannato guarda soprattutto alla sinistra e agli ambientalisti ma anche un po’ al Rassemblement quando lancia il suo appello più accorato: “I nostri valori, francesi e universali, sono minacciati ovunque: i diritti umani, il diritto al rispetto e alla libertà per le donne, i diritti dei bambini, il diritto alla libertà e al rispetto della vita privata, il diritto alla libertà di opinione, di credo, di religione, alla libera filosofia, il diritto all’istruzione. Fin dall’inizio del mondo, chi ha difeso tutto questo se non la Francia?”. E come può la Francia sostenere la battaglia se traballa tra una crisi di governo e l’altra?
Non serve a niente. Gli interventi che seguono suonano il de profundis. Parla per primo il socialista Boris Vallaud: “Ci dispiace non poterle dare la fiducia”. I socialisti vogliono un governo di sinistra, con il loro leader Olivier Faure primo ministro. Gli ecologisti concordano: “Le sue dimissioni sono un sollievo. Ora tocca al presidente nominare un premier del Nuovo Fronte Popolare accettando la convivenza”, gira il pollice all’ingiù la leader Cyrielle Chatelain. Neppure i Repubblicani sono compatti: il capogruppo Laurent Wauquiez è costretto a lasciare libertà di voto. Il verdetto finale lo pronuncia Marine Le Pen, sul cui sostegno su molti provvedimenti si era retto sin qui il governo. La promessa di intervenire sulla sanità statale non le basta: “Questa è la fine dell’agonia di un governo fantasma. Il ritorno alle urne non è un’opzione ma un obbligo”. Ieri è stato fissato il nuovo processo per la leader della destra francese. L’appello inizierà il 13 gennaio: dalla sentenza, in particolare dal passaggio sull’ineleggibilità, dipenderà la possibilità di candidarsi alle prossime presidenziali, previste nel 2027. Se non potrà correre lei toccherà al delfino Jordan Bardella. Di mezzo però c’è la risoluzione di questa crisi e il Rassemblement mira al nuovo voto anche se promette di essere responsabile con l’eventuale prossimo governo. A chiudere definitivamente i giochi è la France Insoumise, che si prepara a una raffica di mobilitazioni di piazza con la spallata come obiettivo: “Presidente lei appartiene al passato”.
Inutilmente Jacques Attal, capogruppo dei macroniani, invoca “un accordo di interesse nazionale per altri 18 mesi” perché “il mondo va avanti e la Francia non può restare bloccata”. La sorte di Bayrou è segnata e la palla passa a Macron. Cercherà di dar vita a un nuovo governo evitando però la coabitazione con la sinistra. Del resto Mélenchon difficilmente accetterebbe un governo del Nuovo Fronte Popolare senza se stesso o almeno senza un rappresentante di France Insoumise alla guida. Il presidente cercherà di appoggiarsi ancora una volta alla regola francese che, a differenza di quella italiana, non impone ai governi di sottoporsi alla fiducia: devono essere le opposizioni a sfiduciare. Grazie a questa formula Marine Le Pen ha sin qui permesso al governo Bayrou di sopravvivere ma ripetere il gioco non sarà facile, con i socialisti che stavolta vogliono un governo di sinistra, Mélenchon che mira alla caduta del presidente e Le Pen che vuole prima incassare un nuovo Parlamento nel quale prevede che il suo sarà primo partito. La formazione del nuovo governo è al buio pesto e se per Macron è una pessima notizia per i conti pubblici francesi rischia di esserlo anche di più.
l'Unità