La Flotilla ci insegna che c’è un buon motivo per alzarsi la mattina: si chiama umanità

Da Foglietta a Servillo: a Venezia è risorto l’impegno politico
Fermata al Lido perché a bordo di una nave battente bandiera palestinese, Anna Foglietta ha richiamato l’artista al suo ruolo più nobile: “Dobbiamo militare, dobbiamo crederci, dobbiamo difendere il diritto alla vita dalle grinfie delle destre”

L’82esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia verrà ricordata come l’edizione del risveglio politico. Dopo anni sonnolenti gli artisti sono tornati all’impegno, non si può più negare che l’essere un personaggio pubblico non porti inevitabilmente sulle spalle il peso di una responsabilità, quella di risvegliare il mondo sugli orrori che non possono essere più taciuti o ignorati da nessuno. All’indomani della chiusura di Venezia 82, lo ha ricordato in primis l’attrice Anna Foglietta, da anni in prima linea per i diritti dell’infanzia con la sua associazione Every Child is my child e già menzionata nei giorni scorsi perché fermata dai carabinieri a Venezia mentre a bordo di una lancia battente bandiera palestinese, a sostegno della Global Sumud Flotilla, si recava alla Mostra per ricevere il Women in Cinema Award. Risuona in queste ore il suo discorso al Marzamemi CineFest, intervistata da Paola Saluzzi: “Dobbiamo svegliarci, dobbiamo lottare, dobbiamo crederci, dobbiamo unirci, dobbiamo essere militanti per salvare l’umanità. Ho sempre sentito fortissimo dentro di me un senso civico che ha sempre spinto tantissimo e ho pensato che tutto quello che ho costruito come artista e come attrice in qualche modo abbia contribuito a portarmi al punto in cui sono arrivata. Ma ora, dopo aver aiutato anche i bambini ucraini, i bambini italiani, ora siamo a Gaza. Palestina libera, perché non possiamo essere in nessun altro posto del mondo se non lì. Tante persone mi chiedono del Darfur, dico certo. Tante persone mi ricordano la Libia, dico certo. In Mediterraneo mi dicono quello che succede alle donne etiopi, a quello che hanno subito le donne tutsi, dico certo. Ma ora quello che sta succedendo a Gaza è qualcosa che credo ci offra l’ultima estrema opportunità di dimostrare al mondo, a questa destra imperante, a questa disumanità imperante, che c’è dal basso un movimento enorme che si muove, che partecipa, che lotta in difesa del diritto alla vita. Perché qua sembra che stiamo dividendo l’atomo, ma si tratta di difendere semplicemente il diritto alla vita”. “Questo Paese – ha ricordato poi – è stato liberato da un mucchio di persone partigiane: se non ci fossero state, oggi non potremmo neanche godere di quel privilegio di stare sul nostro divano e criticare chi oggi va sulla flottiglia e rischia la propria vita per difendere e tutelare la nostra libertà”.
Sono passati due giorni dalla cerimonia di premiazione dell’82° Mostra e come era prevedibile, dato il fermento e il carico politico che questa edizione ha portato con sé sin dai primi giorni, si continua a parlare dei premi, meritati o immeritati, coraggiosi o convenienti. I nostri pronostici li avevamo fatti e tranne per la clamorosa e inspiegabile assenza del coreano Park Chan-wook e il suo No other choice, quasi tutti i film che hanno lasciato un segno, sono stati premiati ma, con un discutibile ordine di importanza. Senza girarci intorno e partendo dal Leone d’Oro in giù, la scelta della giuria presieduta da Alexander Payne di dare il premio più ambito a Father Mother Sister Brother di Jim Jarmusch ha riscontrato unanime dissenso. Non è un buon film? Lo è ma è un’opera di minor efficacia e risonanza se comparata non solo ai suoi concorrenti nel Palmarés ma anche ai precedenti della cinematografia del regista americano. Lui stesso, al ricevere la statuetta d’oro, ha esclamato: “Oh shit” come a sottolineare, in maniera eclatante, la sua sorpresa. Il regista ha poi proseguito il suo discorso elogiando Venezia che “celebra la diversità del cinema ed è luogo di nascita di Vivaldi, Casanova, ma anche di Terence Hill!” e ricordato che “l’arte non deve necessariamente parlare di politica per essere politica”. L’empatia è il primo modo per sistemare i problemi che stiamo affrontando. È evidente che quest’ultima affermazione è frutto della consapevolezza di aver avuto la meglio sul titolo dato per favorito per il Leone d’Oro, The Voice of Hind Rajab di Kaouther Ben Hania che si è portata a casa “solo” il Leone D’Argento – Gran Premio della giuria, una sorta di secondo posto. Si vocifera che la giuria di Alexander Payne, composta, lo ricordiamo, dai registi Stéphane Brizé, Maura Delpero, Cristian Mungiu, Mohammad Rasoulof e le attrici Fernanda Torres e Zhao Tao si sia trovata in grande disaccordo sul primo premio tanto che pare che Torres abbia lasciato il tavolo delle decisioni, scontenta del risultato ottenuto dalla maggioranza. Una scelta precisa quella di Payne, nel privilegiare il film che metteva d’accordo tutti, rimanendo ancorato al mondo del cinema, senza prendere veramente posizioni in merito alla situazione politica mondiale. Nonostante questa mancata assunzione di responsabilità da parte della giuria, la premiazione ha seguito esattamente il corso dei 12 giorni di Venezia 82, diventando, coerentemente, anche palcoscenico per manifestare ancora una volta il dissenso e l’orrore per il genocidio in Palestina. Quasi nessuno ha lasciato incompiuto questo messaggio, tutti hanno usato l’occasione del premio per lanciare un urlo di dolore là fuori. A partire ovviamente da Ben Hania, che, in piena standing ovation, fiera del suo Leone d’argento, lo ha dedicato alla Mezzaluna Rossa: “Crediamo tutti nel potere del cinema, è quello che ci ha portati qui e ci dà il coraggio per raccontare storie che rimarrebbero sepolte. Nessuno potrà ridare quello che è stato rubato, ma il cinema può conservare la sua voce. Dedico questo premio a tutti gli eroi che rischiano la loro vita per salvare persone a Gaza. Liberiamo la Palestina!”. Anche chi non lo ha fatto apertamente, ha sottolineato indirettamente il potere del cinema di scuotere le coscienze. Gianfranco Rosi, ricevuto il Premio speciale della giuria per il documentario Sotto le nuvole ha infatti dichiarato: “Sono salito su questo palco 12 anni fa, e ho improvvisato, invece adesso sono più attento a quello che voglio dire. Considero il documentario cinema ma è una sfida. In questa Mostra ne erano presenti 15, a testimonianza di come possa essere avamposto e resistenza: il nostro compito è filmare, raccontare, testimoniare le atrocità del mondo”. Toccante e solenne il discorso di Toni Servillo, meritatissima Coppa Volpi per la Miglior Interpretazione Maschile in La Grazia di Paolo Sorrentino: “Sono molto felice, molto emozionato. Ringrazio Paolo Sorrentino perché questo presidente della Repubblica è una tua creazione, so che adesso riderai, ma io ho cercato di servirti, per quello che posso, nei limiti delle mie capacità”. Ricordando poi l’impegno di Global Sumud Flotilla, Servillo ha aggiunto: “Vorrei esprimere la mia ammirazione e del cinema italiano per coloro che hanno deciso di mettersi in mare con coraggio per raggiungere la Palestina, dove quotidianamente la dignità umana è vilipesa”. E della Flotilla ha parlato anche Benedetta Porcaroli, Premio Orizzonti per la miglior interpretazione femminile per Il rapimento di Arabella di Carolina Cavalli: “Devo dedicare questo premio ai nostri amici della Flotilla che ci ricordano che non è tutto finito e c’è un motivo valido per alzarsi la mattina che si chiama umanità”.
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