Mafia, le alleanze da Foggia al Gargano: Francavilla e Pettinicchio svelano i retroscena della guerra tra clan

Alleanze, vendette, regole di ingaggio. È il cuore delle dichiarazioni rese ai magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia dai fratelli Ciro e Giuseppe Francavilla, storici capi della batteria foggiana pentitisi tra il dicembre 2023 e il gennaio 2024, e da Matteo Pettinicchio, ex braccio destro di Enzo Miucci e nuovo collaboratore di giustizia dal gennaio scorso. Le loro parole compongono un mosaico inquietante sugli intrecci tra la Società foggiana e la mafia garganica, confluiti nell’inchiesta “Mari e Monti” che ha colpito al cuore il clan Li Bergolis-Miucci con 41 arresti e 50 richieste di rinvio a giudizio per mafia, droga, estorsioni e armi. A settembre l’udienza preliminare con Miucci alias “U’ Criatur” principale imputato insieme al fratello maggiore Dino.
L’alleanza di morte“Nel 2008 durante la mia detenzione al 41 bis a Novara ebbi contatti con Franco Li Bergolis” racconta Giuseppe Francavilla. Da quel momento nacque l’intesa: i Sinesi-Francavilla avrebbero aiutato i Li Bergolis a rintracciare Mario Luciano Romito per ucciderlo; in cambio i garganici avrebbero dato supporto per eliminare Rocco Moretti, storico boss rivale dei Sinesi. Un patto suggellato da regole precise: armi fornite a turno a seconda del territorio d’azione, obiettivi concordati, favori reciproci per gli omicidi. “L’alleanza è rimasta nel tempo ed è ancora attiva” ha confessato Francavilla.
L’agguato a Sinesi e la caccia a MorettiIl 6 settembre 2016 a Foggia l’agguato che ferì Roberto Sinesi e un bambino di quattro anni segnò la rottura della pax mafiosa con Moretti. Secondo i pentiti fu Mario Romito a imporre l’azione, con l’assenso finale dello stesso Moretti. Pettinicchio disse pure che nel commando ci fossero, oltre a Romito il mattinatese Francesco Scirpoli, nuovo boss del clan e Pasquale Ricucci detto “Fic secc” ucciso nel 2019 dai montanari. Anche un altro pentito, il foggiano Carlo Verderosa, ex morettiano, confermò la presenza di Mario Romito e Scirpoli ma non citò Ricucci bensì Giuseppe Albanese, tuttora a processo e Massimo Perdonò.
“Mesi dopo Moretti mi confessò la sua responsabilità, scusandosi per il ferimento del bambino” racconta Giuseppe Francavilla. Da lì partirono le ritorsioni: incontri tra i Francavilla, Miucci, Pettinicchio e Giuseppe Silvestri detto l’Apicanese (ammazzato nel 2017) per organizzare la vendetta. Obiettivo dichiarato: uccidere Moretti. Pattugliamenti tra Foggia, Manfredonia e borgo Mezzanone per stanare il boss, senza mai riuscire a trovarlo. Moretti, scarcerato nell’aprile 2016, fu di nuovo arrestato a ottobre 2017 per estorsione, scampando così alla morte.
La strage di San Marco in LamisIn quei mesi la caccia si spostò anche su Romito, alleato di Moretti. “Due foggiani del nostro gruppo fecero parte del commando che cercava pure lui” dice Francavilla. Mario Luciano Romito fu poi assassinato il 9 agosto 2017 nella strage di San Marco in Lamis, firmata dai Li Bergolis, in cui persero la vita anche il cognato del boss e i fratelli contadini Aurelio e Luigi Luciani.
Pettinicchio: dal vertice del clan alla collaborazioneSe i Francavilla hanno rivelato i legami tra Foggia e il Gargano, il contributo di Matteo Pettinicchio ha aperto squarci interni sul clan Li Bergolis. “Faccio parte del gruppo di mafia Li Bergolis-Miucci. Confermo le accuse contestatemi nell’ordinanza Mari e Monti” ha dichiarato il 30 gennaio 2025 davanti ai pm della Dda. Pettinicchio, cresciuto nel clan dal 2000, è stato l’unico a godere di margini di autonomia decisionale accanto a Miucci.
Nelle sue parole emerge un organigramma dettagliato: Giulio Guerra (non imputato in “Mari e Monti”) e altri fidati a Monte per estorsioni e rapine, Lorenzo Scarabino come emissario del cognato Miucci, Roberto Prencipe detto “Il cacciatore” killer e narcotrafficante su Manfredonia, Giovanni Caterino basista della strage del 2017, oltre al fratello Leonardo (Dino) Miucci, imprenditore edile con ruolo di collegamento e copertura economica. Pettinicchio ha parlato anche di rapporti con i narcos Raffaele Palena e Saverio Tucci, detto “Faccia d’Angelo”, e delle alleanze instabili con boss come Marco Raduano, prima passato con i rivali Lombardi-Scirpoli e poi pentito.
Cinquant’anni di sangueDalle confessioni emergono decenni di dominio criminale. Pettinicchio ha raccontato anche di aver versato “stipendi” da 2.500 euro al mese al capoclan ergastolano Franco Li Bergolis, segno di un clan che, nonostante arresti e condanne, ha sempre mantenuto potere e influenza. “Il nostro gruppo è molto temuto nell’intera Capitanata, perché la famiglia Li Bergolis è quella di maggiore spessore criminale da più lungo tempo” ha detto il pentito. Capi storici, tutti in galera, i fratelli Matteo, Armando e Franco Li Bergolis, nipoti del patriarca Ciccillo Li Bergolis, morto ammazzato nel 2009, “fondatore” del clan negli anni ’70 ma con una carriera criminale iniziata molto tempo prima.
Franco, come detto, è all’ergastolo mentre i fratelli maggiori stanno finendo di scontare circa 27 anni di reclusione, molti dei quali al 41 bis. La loro eredità, seppure in qualità di reggente, sarebbe stata presa proprio da Enzo Miucci, nipote acquisito di Ciccillo, oggi 42enne ma nel clan fin da giovanissimo, da qui il soprannome di “U’ Criatur”.
Il processo “Mari e Monti”, che si aprirà il 9 settembre con l’udienza preliminare per 50 imputati, sarà la prova più grande per il sistema giudiziario: accertare verità e responsabilità dentro la mafia più longeva e sanguinosa del Gargano, ora raccontata dalle voci di chi per anni l’ha guidata dall’interno.
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