Il populismo costa più dei vitalizi


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Col taglio dei vitalizi dovevano risparmiare 40 milioni, ne spenderanno 19. Più le tasse. Più gli interessi. Più l’ideologia. Le vere conseguenze della riforma delle pensioni degli ex parlamentari firmata Movimento 5 stelle
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Dovevano risparmiare quaranta milioni di euro tagliando pensioni ai vecchi, finirà che ne spenderanno almeno diciannove per ridargliele. Anzi di più, considerando i mancati introiti fiscali, gli interessi e le rivalutazioni. Il taglio dei vitalizi è stata la riforma più antieconomica della storia, nel senso che ha prodotto il minor risparmio possibile al maggior costo immaginabile. Nel 2018, nel corso di quel tentativo d’imporre in Italia un regime di analfabeti cronici detto Movimento 5 stelle, venne deciso di tagliare le pensioni a 1.338 ex parlamentari. Per lo più tra gli ottanta e i novant’anni. La casta andava punita. Ben presto tuttavia accadde che il Parlamento fu costretto a restituire le pensioni al 60 per cento di loro, circa 800 nonni. Il provvedimento era infatti illegittimo.
Ieri però, con una decisione destinata ad allungare ulteriormente la storia, il Consiglio di giurisdizione della Camera ha respinto i ricorsi dei restanti pensionati (nel 2020 erano circa 700, oggi sono circa 500 perché nel frattempo in 200 sono morti). Ma nessuno s’illuda: i sopravvissuti faranno ricorso, anche con un decreto ingiuntivo. Il fondo da 101 milioni accantonato dai funzionari della Camera – i politici prendono le decisioni populiste, ma le pezze ce le mette l’amministrazione – rimane lì. E probabilmente non basterà. Un fondo per l’incostituzionalità, diciamo. Ma qui sta il punto: se accantoni i soldi significa che sai di non avere ragione. La Corte costituzionale l’ha detto in tutte le lingue del diritto: tagli alle pensioni sì, ma provvisori, massimo per tre anni, con motivazioni serie, criteri di razionalità e di proporzionalità. I parlamentari sono cittadini come tutti gli altri. Qui invece sin dall’inizio è stata una Commedia dell’Arte, dove le leggi sono gag, le riforme sono tweet, e le emergenze si proclamano dallo stesso balcone dal quale si abolisce la povertà. Fu quello dei vitalizi, in fondo, il gesto originario dell’antiparlamentarismo italiano in epoca digitale. La pensione dei parlamentari non era l’obiettivo: era il simbolo. L’idea stessa che chi avesse esercitato una funzione pubblica potesse ricevere un trattamento previdenziale divenne una bestemmia. Non si trattava di riformare, ma di umiliare. Di cancellare la distinzione tra responsabilità e privilegio, tra incarico e colpa.
A guidare con entusiasmo quella brillante operazione giuridica e contabile fu Roberto Fico. Un nome che non è andato perduto. Anzi: oggi il Pd di Elly Schlein pensa di candidarlo alla presidenza della Campania. Tra i più lucidi a denunciare l’assurdità della norma oggi c’è Peppino Gargani, ex democristiano. Ha novant’anni. Mentre Angiolo Bandinelli, che fu parlamentare radicale, collaboratore del Foglio, novantaduenne all’epoca del taglio, diceva così: “Spero almeno che con un po’ di quei soldi dei vitalizi questi ragazzi grillini si possano comprare dei libri, anche solo dei bignami di diritto costituzionale”. E’ morto tre anni fa. Senza vitalizio. E con lui si è quasi esaurita una generazione di persone intelligenti e ironiche che sapevano perdere con eleganza, ma non senza far notare l’assurdità del gioco. Se c’è una cosa che questa storia dimostra, è che il populismo costa. Molto più dei vitalizi. E ha un difetto: non muore mai.
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