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Open Arms, perché la Procura di Palermo ricorre contro l’assoluzione di Salvini: le colpe del ministro e l’errore tecnico dei giudici

Open Arms, perché la Procura di Palermo ricorre contro l’assoluzione di Salvini: le colpe del ministro e l’errore tecnico dei giudici

Il processo Open Arms

L’accusa ricorre in Cassazione. Sostiene che la colpa del vicepremier è provata e che il tribunale, assolvendolo, ha commesso un errore tecnico

Foto Claudio Furlan/Lapresse
Foto Claudio Furlan/Lapresse

La sentenza con cui il tribunale di Palermo, lo scorso dicembre, ha assolto Matteo Salvini dal reato di sequestro di persona ed omissione di atti d’ufficio nella vicenda “Open Arms” è sbagliata in punto di diritto. Lo afferma la procura di Palermo, che ha deciso di presentare ricorso direttamente in Cassazione. Il procedimento “per saltum”, scelto dal procuratore Maurizio de Lucia e dai pm Giorgia Righi e Marzia Sabella, è abbastanza raro.

Grazie a questo procedimento è però possibile impugnare una sentenza di primo grado direttamente in Cassazione, senza passare per il giudizio di appello e con il limite di non poter presentare nuove prove. Nel caso specifico, i pm di Palermo sembrano non temere quest’aspetto. In appena 16 pagine di ricorso, infatti, i magistrati sottolineano più volte come il tribunale abbia correttamente ricostruito il fatto storico, interpretando però le norme in modo errato. Di conseguenza, non ci sarebbe altro da aggiungere in un secondo grado di giudizio: meglio passare subito al giudizio di legittimità. Il caso recente più famoso di ricorso ‘per saltum’ ha riguardato il processo “Ruby Ter”: la Procura di Milano decise di ricorrere in Cassazione contro la sentenza di assoluzione di primo grado, sempre per una questione giuridica. Lo scorso ottobre, la Cassazione aveva dato ragione alla Procura disponendo un nuovo processo.

Tornando invece alla vicenda Open Arms, tutto nasce con il divieto imposto nell’estate del 2019 da Salvini, allora ministro dell’Interno nel governo gialloverde, alla ong spagnola di far sbarcare a Lampedusa 147 migranti che aveva salvato in mare. Il primo agosto di quell’anno, in acque Sar libiche, vennero soccorsi 124 migranti. Dopo il salvataggio, l’equipaggio della imbarcazione aveva chiesto l’assegnazione di un porto sicuro all’Italia e a Malta, ricevendo come risposta il divieto di ingresso in acque italiane dall’allora titolare del Viminale. Il successivo 9 agosto, gli avvocati della ong fecero ricorso al tribunale dei minori, chiedendo lo sbarco dei migranti non ancora maggiorenni, e presentarono la prima denuncia per sequestro di persona. Poche ore dopo, soccorsero un altro gruppo di persone. Il 12 agosto, il tribunale di Palermo ordinò lo sbarco dei minori. Contro il reiterato no del Viminale, la ong fu costretta a ricorre al Tar del Lazio, ottenendo la sospensiva al divieto di ingresso. Alla vigilia di Ferragosto, mentre il governo gialloverde comincia ad andare in crisi dopo la performance di Salvini al Papeete beach di Milano Marittima, Open Arms presentò un esposto alla procura di Agrigento perché Salvini, a dispetto della decisione del giudice amministrativo, continuava a negare l’ingresso nelle acque italiane. Nel frattempo, la situazione a bordo era diventata ingestibile: i migranti, in condizioni igienico-sanitarie precarie da ben 18 giorni, erano allo stremo. Alcuni, vedendo le coste italiane, tentarono di raggiungere Lampedusa a nuoto gettandosi in mare.

Il 20 agosto, l’allora procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, decise di salire sulla nave per accertare le condizioni fisiche e psichiche dei migranti. Vedendo una situazione “esplosiva”, sequestrò immediatamente l’imbarcazione e dispose lo sbarco dei migranti. A novembre del 2019, Salvini, finito all’opposizione, venne quindi iscritto nel registro degli indagati per sequestro di persona e rifiuto d’atti d’ufficio in concorso con il suo capo di gabinetto Matteo Piantedosi. Per competenza le carte vennero trasmesse al tribunale dei ministri di Palermo, che formulò l’imputazione per Salvini, archiviando Piantedosi. Il primo febbraio del 2020, il collegio mandò gli atti al Senato per l’autorizzazione a procedere. Palazzo Madama autorizzò e, ad aprile del 2021, il gup Lorenzo Jannelli dispose dunque il rinvio a giudizio per Salvini. Il processo ebbe inizio il successivo mese di settembre. Tra i testimoni, l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, l’ex ministro degli esteri Luigi Di Maio e l’attuale ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Dopo un dibattimento durato tre anni, lo scorso settembre la procura chiese la condanna di Salvini a sei anni di carcere per “l’intenzionale e consapevole spregio delle regole e diniego consapevole e volontario verso la libertà personale di 147 persone”. “Ho solo difeso la nazione”, ha sempre sostenuto il ministro.

Il 20 dicembre, come detto, il tribunale di Palermo ha assolto Salvini. Assoluzione che va rivista, scrivono invece i pm di Palermo, alla luce anche di una pronuncia delle Sezioni unite della Cassazione secondo la quale non si può negare lo sbarco ai migranti in difficoltà. La violazione delle regole sul soccorso in mare fu evidente, soprattutto per la presenza di minori. “La corretta applicazione delle leggi avrebbe dovuto imporre l’ordine di sbarco immediato”, sottolineano quindi i pm siciliani. Sulla vicenda è intervenuto ieri il ministro della Giustizia Carlo Nordio, ribadendo che non è possibile presentare impugnazione contro le sentenze di assoluzione. “La lentezza della nostra giustizia dipende anche dall’incapacità di molti magistrati di opporsi all’evidenza. Rimedieremo”, ha detto Nordio. “Se la fiducia nella giustizia è crollata – ha proseguito il Guardasigilli – è anche perché alcuni magistrati trascinano processi eterni senza pensare alle conseguenze devastanti che provocano nella vita delle persone. Solo quando il macigno ti cade addosso, come nel caso del sindaco Sala, ci si rende conto delle criticità del nostro sistema. Per questo lo cambieremo”.

l'Unità

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