Padellaro non desiste e ribadisce la favola del complotto Letta-Meloni-Nato


LaPresse
La teoria del cavolo
Emiliano la teorizza, Padellaro la rilancia. Ma la strategia di "desistenza" tra Pd e M5s nel 2022 è un’illusione tecnica e politica: la legge elettorale smentisce i disegnini. Per vincere bastava una coalizione
Padellaro non desiste. Sul Foglio avevamo contestato la teoria di Michele Emiliano, da lui rilanciata sul Fatto quotidiano, secondo cui alle elezioni del 2022 sarebbe stato possibile un accordo di “desistenza” tra Pd e M5s ma Enrico Letta non volle perché aveva deciso di “far vincere a tavolino” Giorgia Meloni. La suggestiva teoria del complotto non regge per un motivo banale: con questa legge elettorale, il Rosatellum, la desistenza non è possibile. Ma Padellaro non ci sta e rilancia. “Proviamo con un disegnino”, scrive. “Il candidato A del M5s chiede ai propri elettori di riversare i voti sul candidato B del Pd meglio piazzato nei sondaggi. O viceversa. In questo modo non disperdendo il consenso della coalizione sarà più agevole sconfiggere il candidato C della destra. E’ un accordo preventivo che, ovviamente, prima di tutto dovrà stare bene ai vertici del M5s e del Pd”. E poi aggiunge che “nessuno può impedire a nessuno di rinunciare ai propri voti per dare a un altro”.
Siccome non siamo bravi con i disegni, riproviamo con le parole. Confidando nell’intelligenza di Padellaro. Ciò che scrive non si può fare, perché non ha alcun senso politico. Secondo l’attuale legge elettorale, il collegio uninominale (maggioritario) è strettamente legato al collegio plurinominale (proporzionale): non si può votare il candidato del M5s all’uninominale e la lista del Pd al proporzionale (o viceversa) pena la nullità del voto. La strategia prospettata da Emiliano & Padellaro prevederebbe che, per concentrare i voti sul candidato B del Pd meglio piazzato nei sondaggi il M5s rinunci anche tutti voti di lista al proporzionale (o viceversa): in pratica, con l’incertezza di far vincere al Pd un seggio all’uninominale avrebbe la certezza di perdere voti e seggi sul collegio plurinominale. Oltre a non avere alcun senso tecnico, questa strategia si sarebbe scontrata con l’enorme difficoltà politica di dover dire – collegio per collegio – ai propri elettori di votare per una lista concorrente anziché per la propria, dovendo al contempo fare una comunicazione politica nazionale che si scontrerebbe con quella locale. Una follia.
Se ci fosse una forte volontà politica di fare un patto e una capacità di coordinamento tra il partito A e il partito B tale da indirizzare voti collegio per collegio, sarebbe molto più semplice stringere un accordo di coalizione. Che prevede, esattamente come prima, di decidere nei collegi uninominali un candidato comune, sostenuto sia dal partito A sia dal partito B. In questo modo non c’è alcun bisogno di chiedere ai propri elettori di “riversare i voti” un altro candidato: mettendo una croce sul simbolo del proprio partito l’elettore vota automaticamente anche il candidato uninominale (che sia del partito A o del partito B) previamente scelto dalla coalizione dopo un accordo tra i partiti che ne fanno parte. E’ esattamente ciò che hanno fatto il centrodestra (FdI, FI, Lega) e il centrosinistra (Pd, Avs, +E).
Che la legge elettorale funzioni in questo modo lo confessa, chissà se per un lapsus o per un attimo di resipiscenza, lo stesso Padellaro quando scrive: “In questo modo non disperdendo il consenso della coalizione”. Coalizione, appunto. Non “desistenza”, che è un accordo tra partiti che non hanno voluto fare un accordo di coalizione (la desistenza era tecnicamente possibile con il Mattarellum).
Basterebbe ammettere di aver scritto una sciocchezza, o meglio di aver creduto alle sciocchezze dette da Emiliano. Capita a tutti, anche ai migliori come Padellaro. Invece no. Lui raddoppia. Così passa dal fare i disegnini a unire i puntini, come fa ogni buon cospirazionista, e scrive che “il rodimento fogliesco” riguarda l’ostilità nei confronti del “pacifista Giuseppe Conte” e lo svelamento del complotto Letta-Meloni-Nato: “Senza buttare tutto in caciara è così assurdo pensare che all’atlantista Enrico Letta – a un passo dal pareggio (e forse anche di una pur risicata vittoria) – sia venuto il braccino corto pensando ai casini nei rapporti con la Casa Bianca del fu Joe Biden che la presenza del leader 5Stelle nella maggioranza di governo gli avrebbe sicuramente causato. Voi colleghi del Foglio, voi sempre così informati su tutto il globo terracqueo, alto e basso di sopra e di sotto, pensate davvero che il supergoverno Nato di Giorgia Meloni sia nato sotto un cavolo?”.
Si tratta, appunto, di una teoria del cavolo che neppure la fervida immaginazione di un Alessandro Orsini è in grado di escogitare. Caro Padellaro, quando si fa prevalere l’orgoglio sull’intelligenza, il rischio è di apparire un po’ ridicoli. Senza buttare tutto in caciara, è davvero così difficile ammettere di aver detto una cavolata?
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