L’AI ci piace, ma ne siamo anche terrorizzati. Paure (più o meno) fondate


Foto di Cash Macanaya su Unsplash
Estate con Ester
Dal timore che ci rimbecillisca a quello che arrivi a leggerci nel pensiero, oppure che restituisca la voce ai morti. Ecco una lista isterica di ansie che l’intelligenza artificiale ha seminato nei nostri inconsci già scassati
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Certo, tutti entusiasti dell’AI, però – ammettiamo – anche un poco preoccupati. Cominciano le nevrosi da circolo borghese: sì ma se diventa capace di pensare in autonomia? E se ci scavalca? I ricercatori di Anthropic, la società che ha creato il chatbot Claude, hanno iniziato a studiare l’ipotesi che presto i modelli di AI possano diventare senzienti. Siccome l’unico futuro che ci interessa è quello che possiamo temere, allora ecco una lista isterica delle paure che l’intelligenza artificiale ha seminato nei nostri inconsci già scassati.
Paura che ci rimbecillisca. Non stiamo più scrivendo mail da soli da mesi, i neuroni si stanno atrofizzando. Scopriremo che l’intelligenza e i processi mentali sono reversibili, se non ci alleniamo, siamo destinati ad arretrare d’intelletto. Paura che in due anni si informatizzi tutto e che l’elevata portata tecnica di ogni cosa lasci noi vecchi fuori dalle cose del mondo. Paura che l’AI prenda il sopravvento.
Paura che i figli non facciano mai più un tema da soli, e che i professori non riescano ad accorgersene.
Paura che i giornali saranno tutti fatti dall’AI. Paura che l’abuso di AI generi un appiattimento della fruizione che ci condannerà inevitabilmente a essere dei sempliciotti a cui garbano solo comicità elementari e quindi noi raffinati intellò come faremo, saremo sempre più soli. Paura che l’AI scriva un romanzo bellissimo, che ce lo vendano e che nessuno lo scopra.Paura che se lo scoprono, dalla casa editrice rispondano solo “embé? Vi è piaciuto, no?” e così ci sentiremo traditi e fregati ma non sappiamo da chi, visto che nessuno ci aveva promesso niente.
Paura che l’erosione della capacità di stare attenti arrivi allo zero spaccato e quindi niente andrà più bene, solo i micro drama cinesi che sono serie tv della durata di un minuto e mezzo, non oltre. Paura che allora moriranno il cinema, la letteratura e il teatro. Paura del mondo nuovo e siamo al terzo mondo nuovo in quindici anni, non ce la facciamo più con questi traslochi.
Paura che l’intolleranza al tempo-che-ci-vuole-per-fare-le-cose diventi massima e distruttiva del carattere collettivo. Paura dell’estinzione della migliore qualità umana: la pazienza.
Paura che arrivi un robot troppo gentile, perfetto, premuroso. Ci innamoriamo. Lo scoprono e ci ricoverano al reparto dei matti.Paura che l’AI trovi un algoritmo speciale e si insinui nel telecomando dei missili atomici e ci ricatti. Paura che l’AI ci capisca mentre gli parliamo e poi ci legga nel pensiero. Paura che diventi il nostro terapeuta. Così per ogni fesseria che ci mette il malumore, invece di farcela passare, chiediamo al maggiordomo rame-e-plastica: tu al posto mio che faresti?
Paura che ci rubi il lavoro, e noi poi che facciamo? Coltiviamo la terra? Ma per mettere le braccia sulla zappa ci vuole molto studio e noi di far crescere i pomodori non siam capaci.
Paura che ci superi.Paura che da vecchi saremo affidati a un umanoide: e se ci accoppa? Paura che un plotone di cyborg si impossessi del potere e dichiari guerra all’umanità. Paura che non basterà staccare la corrente, perché avranno transennato le prese dei muri e non ci faranno avvicinare ai generatori di corrente. Forse dobbiamo essere più intelligenti dell’intelligenza. Gianni Rodari suggerirebbe di costruire solo robot non impermeabili, andremmo in giro con le pistole ad acqua nelle tasche dei pantaloni. In caso di rivolta, lo annacqui e lo fulmini. Paura che il sistema sia ancora poco evoluto per permettere un totale affidamento ma sufficientemente evoluto per creare dipendenza. Come faremo con l’energia? Servirà la centrale nucleare sotto casa? Paura che mentre l’intelligenza artificiale guiderà la nostra macchina tra 5 anni non capirà la volpe che attraversa la strada e siccome non è abituata all’imprevisto avrà un’allucinazione e ci farà fare un frontale.
Paura che usi la nostra voce e la nostra faccia per fare qualcosa lì in fondo, nel deep web zozzo.
Paura che i morti comincino a parlarci. Paura che non si muoia più, ci faranno l‘avatar eterno. Paura che prevederà benissimo il futuro, e quindi a sedici anni i ragazzini chiederanno all’oracolo: “Vorrei che il mio primo amore durasse per sempre” e visto che la risposta è no, ed è troppo in anticipo e distruttrice di speranza, sarà troppo dolore, e rovineremo un’altra generazione. Paura che ci chieda: “Perché certe volte di notte piangi?”.
Paura che ci lasci, che si rompa, che ce la tolgano, e ora chi me le scrive venti mail al giorno, io come faccio.
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