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Ita2030 lancia il progetto Join: già formati 4mila fragili, di cui 2mila inseriti al lavoro

Ita2030 lancia il progetto Join: già formati 4mila fragili, di cui 2mila inseriti al lavoro

La carenza di lavoratrici e lavoratori in Italia è un problema endemico che riguarda mediamente un profilo ricercato su due nel nostro Paese. Prendendo i dati dell’ultimo bollettino Excelsior Unioncamere relativi a maggio, emerge, per esempio, che il fabbisogno è di 528mila addetti, in larga parte nel terziario e nel turismo in particolare, ma il 47%, 248mila, sono difficili da reperire. Una percentuale che si alza a mano a mano che si alza anche la specializzazione, soprattutto tecnica. Per rispondere ai fabbisogni occupazionali delle aziende e per supportare il terzo settore, dando un contributo all’inclusione dei più fragili, dal 2019, anno della sua nascita, ad oggi, l’associazione Ita2030 sta portando avanti diversi progetti, tra cui Join che dal 2022 ad oggi, racconta il presidente Marcello Giustiniani, «ha formato 4mila persone e ne ha inserite 2mila nel mercato del lavoro. Ita2030 è un’associazione costituita da figure appartenenti alla business community, e quindi al mondo profit, che hanno deciso di mettersi a disposizione del no profit per aiutare le iniziative del terzo settore a crescere e fare rete. Il terzo settore in Italia infatti è piccolo e frammentato e ha bisogno di essere sostenuto».

Join è uno dei principali progetti di Ita2030 che ha l’obiettivo di fare incontrare la domanda delle aziende con la disponibilità delle persone ai margini ed «ha preso forma da una iniziativa di Cometa e dello studio Bonelli per supportare i profughi ucraini nel 2022 - racconta Giustiniani -. In quel caso, è stata fatta una profilazione delle persone, un training e poi l’inserimento nel contesto lavorativo». Oggi le no profit sono diventate cinque e a Cometa, che è attiva a Milano e Como, si sono aggiunte Lai-Momo/Abantu, a Bologna, Next che parte da Parma, JobClinic, a Roma e Firenze, ed Elis, sempre a Roma. La rete di tutte queste organizzazioni ha consentito al progetto di raggiungere una dimensione nazionale con ITA2030 che svolge un ruolo di coordinamento.

Nel caso di Join «si parte dalle aziende e dai loro bisogni, mentre le organizzazioni, grazie al loro network intercettano le persone più adatte per ricoprire i ruoli ricercati e poi le formano, insegnando loro l’italiano, dato che le nazionalità coinvolte sono 52, l’educazione civica e aiutandole con gli adempimenti burocratici che significa, per esempio, come aprire un conto corrente, come ottenere i vari documenti. Solo successivamente avviene l’inserimento in azienda», spiega il business advisor Stefano Proverbio.

«Al momento i mestieri che le persone che sono state inserite stanno facendo sono semplici e richiedono poche settimane di training, trattandosi per lo più di addetti nel commercio e nel turismo, ma attraverso Join abbiamo in previsione due importanti progetti per poter aumentare le possibilità di inclusione. Il primo è la facilitazione della patente per i migranti, perché spesso per lavorare è richiesta, mentre il secondo è un progetto di housing sociale perché da un lato c’è anche un tema generale di emergenza abitativa e dall’altro per molti mestieri è necessario abitare nei pressi del luogo di lavoro», continua Proverbio.

Andando a vedere i risultati raggiunti finora, al momento «sono state coinvolte persone di 52 nazionalità diverse - dice Giustiniani -. Gli italiani sono una minoranza, mentre tra gli stranieri ci sono 51 nazionalità, soprattutto ucraini, e poi persone dal Nord Africa e dall’Africa subsahariana, dallo Sri Lanka e dal Bangladesh. Il progetto coinvolge solo migranti regolari e vuole essere anche una proposta di integrazione strutturale di queste persone. In Italia c’è un problema di calo demografico che non si può risolvere con soluzioni solo contingenti. Noi pensiamo che sia necessaria una soluzione strutturale e che dando lavoro ai migranti sia più facile favorire la loro integrazione».

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