Ortombina: «All’estero a caccia di risorse e partner per una Scala più forte»


«Se dovessi sintetizzare in una frase l’obiettivo del mio mandato è che, passati i cinque anni in cui sarò alla guida del Teatro, non ci sia più nessun milanese che possa dire di non essere mai stato alla Scala». Fortunato Ortombina – già coordinatore artistico del Piermarini dal 2003 al 2007, poi direttore artistico della Fenice di Venezia, di cui è stato sovrintendente dal 2017 – dallo scorso 17 febbraio ha preso il testimone di Dominique Meyer alla guida della fondazione scaligera.
Che teatro ha ritrovato, dopo tanti anni?
Una Scala moderna, che fa cultura e ricerca, in salute dal punto di vista economico. Il 2024 si è chiuso con un bilancio di circa 129 milioni di euro e un utile di 200mila euro. Ma soprattutto, con un incremento degli spettatori, 456.800 contro i 398mila del 2023, degli abbonati, che sono oltre 11mila, e del tasso di riempimento della sala, che ha raggiunto il 91%. Un dato che ci inorgoglisce è quello degli under 35, che sono ormai il 30% del nostro pubblico. Questi numeri rispecchiano la capacità della Scala di cogliere il vento in poppa che ha sospinto tutti i teatri lirici italiani dopo la pandemia e di organizzare l’accoglienza delle nuove generazioni. Uno dei miei obiettivi sarà rafforzare ulteriormente il dialogo con i giovani e le attività rivolte ai bambini e ai ragazzi.
Il pubblico milanese è molto affezionato alla Scala: come consolidare questo legame?
Attraverso l’ascolto. Ogni spettatore è un universo singolo, che viene a teatro condividendo con altre persone una passione e un evento al quale assistere, ma ciascuno con il proprio bagaglio di esperienza. Ci affida tre ore della propria vita, che valgono molto di più del prezzo del biglietto. Quindi il nostro dovere è infittire il dialogo con il pubblico, per conoscere veramente le persone e quello che vogliono. A me piace stare nel foyer prima dello spettacolo e durante le pause, salutare gli spettatori quando arrivano e parlare con loro. L’ho sempre fatto e non smetterò di farlo. Al contempo, bisogna infittire le attività per i bambini, sviluppando anche la possibilità di farli interagire con lo spettacolo. Magari in questo modo, fra 50 anni, tutti i milanesi potranno dire non solo di essere stati, ma anche di aver cantato alla Scala.
Per fare tutte queste attività e mantenere l’eccellenza artistica del teatro, servono risorse. Le strade sono due: aumentare i prezzi dei biglietti oppure i contributi dei soci. Lei cosa farà?
I prezzi dei biglietti rimarranno invariati, perché non dobbiamo dimenticare la natura e il ruolo anche pubblico della nostra istituzione. Manterremo l’ottimo equilibrio, unico nel panorama italiano, tra fondi pubblici, contributi privati e ricavi da biglietteria, che incidono ciascuno per un terzo circa al bilancio complessivo. Dal 2025 non la Fondazione Banca del Monte di Lombardia non siederà più del cda, ma rimarrà comunque tra i nostri sostenitori e vorrei ricordare che moltissimi partner contribuiscono con cifre importanti al nostro bilancio. Senza questi privati, la Scala non sarebbe la Scala che conosciamo, il denaro pubblico non basterebbe. I nostri sostenitori privati sono come dei cavalieri del Graal che custodiscono il tesoro del nostro teatro, che io chiamo il dovere dell’eccellenza. Perché non possiamo adagiarci sul patrimonio che abbiamo, vivendo di rendita. Io non credo nel teatro di repertorio come fonte di guadagno o, perlomeno, non è quello che deve fare la Scala. Ovviamente ci sono alcune produzioni che ha senso e importanza riproporre, ma questo teatro deve fare sia storia e cultura, sia ricerca e sperimentazione. E questo è possibile grazie ai privati che ci sostengono e che partecipano alle nostre attività.
Imprese e sponsor, ma anche singoli donatori, milanesi e non solo. Due anni fa la Scala ha sostenuto la nascita dell’Association of America. Sono previste altre associazioni di sostenitori esteri?
Sì, ce ne saranno altre, ci stiamo lavorando. Inoltre, stiamo mettendo a punto un piano di sviluppo internazionale del teatro, che ha già un forte appeal oltreconfine (un terzo del pubblico è straniero, ndr), che si può far crescere ulteriormente, sviluppando aree del mondo in cui manchiamo da tempo, come l’Asia. La nomina del maestro Myung-Whun Chung a direttore musicale dal 2027 va proprio nella direzione di una proiezione verso il Far East, in particolare attraverso tournée. Inoltre, dal prossimo settembre partiremo con un nuovo roadshow internazionale di presentazione del nostro teatro e della nuova stagione nelle principali capitali internazionali.
Come sarà dunque la Scala che lascerà al suo successore?
Sarà una Scala sempre più della città, perché più un teatro appartiene alla propria città e più appartiene al mondo. È una lezione che ho imparato a Venezia: proiettarsi all’estero non deve farci dimenticare chi abita attorno a noi, altrimenti rischiamo di perdere la nostra identità. In questo senso, vorrei rafforzare il rapporto con le altre istituzioni culturali milanesi, a cominciare dai teatri, ma anche realtà come il Conservatorio e la Civica Scuola di musica e le tante università del territorio.
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