Festa della Mamma, cosa vuol dire essere famiglia monogenitoriale

Secondo l’ultimo censimento dell’Istat, in Italia i nuclei monogenitoriali toccano quota 3 milioni 822 mila 469. Tra questi, in oltre tre casi su quattro la cabina di comando è tutta al femminile, con il 77,6 per cento guidato da madri sole. Tradotto in percentuale, significa che quasi una famiglia su cinque – il 18,1 per cento – è formata da una mamma con i figli, mentre i padri soli si fermano al 5,2 per cento. Il trend è addirittura in crescita: rispetto al 2011 le madri monogenitoriali sono aumentate del 35,5 per cento, passando da 2 milioni 189 mila a 2 milioni 967 mila 420 nel 2021. Un esercito quasi invisibile nella narrazione pubblica, ma decisivo nel tessuto sociale ed economico del Paese.
Ma quali sono gli ostacoli principali che incontra un genitore che si prende cura da solo dei propri figli? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Giovanna Giacomini, pedagogista, formatrice e madre monogenitoriale. «Significa convivere con un silenzioso senso di solitudine. In una coppia hai due sguardi sulla stessa difficoltà; da soli, quel confronto scompare. Il risultato è un doppio carico pratico ed emotivo, condito da un interrogativo martellante: “Sto facendo abbastanza?”».
Da dove nasce questo dubbio? «Dal paragone con la figura paterna, che può mancare per lutto, separazione o presenza puramente formale. In tutti questi casi la mamma finisce per misurarsi con uno standard impossibile e, non di rado, con un senso di colpa che erode l’autostima».
Eppure, dietro quella stanchezza cronica che si fa sentire soprattutto la sera, emergono risorse sorprendenti. «Vedo donne tirar fuori una creatività che non immaginavano di avere – racconta Giacomini –. Quando il tempo si stringe, scatta l’ingegno: si improvvisa, si delega, si impara a dire di no. Il segreto è coltivare l’equilibrio interiore, perché se sto bene io, trasmetto serenità ai miei figli».
Strategie di sopravvivenza. Niente elenchi di super poteri, ma qualche pratica di buon senso. Primo: archiviare l’idea di essere un genitore “di serie B”. Un nucleo familiare è valido a prescindere dal numero di adulti presenti. Secondo: chiedere aiuto non è un fallimento, bensì una scelta intelligente di cura reciproca. Terzo: ritagliarsi minutaggi minimi – una pagina di libro, un caffè in balcone, un respiro profondo – che, ripetuti, cambiano la chimica delle giornate. «Coltivare l’autostima è un allenamento quotidiano – aggiunge la pedagogista –. Annotate i piccoli traguardi: rileggendoli, scoprirete quanta strada fate ogni singolo giorno».
Ci chiediamo quale sia il dono più atteso dalle donne e ne scopriamo uno che senza dubbio batte fiori e gioielli. Qualche ora libera da scadenze e incombenze. «Serve una tregua costruita insieme ai figli – spiega Giacomini –. Loro guadagnano una mamma più serena; lei ritrova energie da reinvestire nella relazione».
Celebrarle una domenica l’anno non basta. Le madri sole pagano ancora disparità pesanti, dato che oltre il 42 per cento risulta inattivo o disoccupato. «Se sei libera professionista le tutele sono un miraggio. Eppure i bambini non sono “diversi” da quelli delle dipendenti». Serve dunque un mercato del lavoro più family friendly: orari flessibili, nidi aziendali, welfare territoriale accessibile. Sul fronte fiscale, un assegno unico maggiorato e detrazioni mirate per affitti e utenze alleggerirebbero un rischio povertà sempre in agguato. Riconoscere le famiglie monogenitoriali come «componente significativa e in crescita della società» – per usare le parole della pedagogista – è il primo passo. La Festa della Mamma diventa dunque un’occasione per guardare oltre la retorica del “super eroismo” femminile e reclamare politiche che trasformino resilienza in equità. Perché, se è vero che l’amore di una madre muove montagne, è altrettanto vero che lo Stato deve almeno spianarle la strada.
Luce