Intervista a Christian Ferrari: “Astensione ai referendum? Nessun diritto è stato conquistato rimanendo a casa”

Il membro della Segreteria nazionale CGIL
«A partire dallo statuto dei lavoratori, gli avanzamenti sociali sono arrivati sempre grazie alla lotta, alla mobilitazione e alla partecipazione democratica. Questa tornata referendaria ha una portata che va al di là del contenuto dei quesiti, l’obiettivo è cambiare radicalmente un modello di sviluppo ormai insostenibile»

Christian Ferrari, membro della Segreteria nazionale della CGIL: la seconda carica dello Stato, il presidente del Senato Ignazio La Russa, che dichiara pubblicamente: “Farò campagna per l’astensione” ai referendum dell’8 e 9 giugno. I leader della destra che esaltano la scelta politica del non voto. Che democrazia è questa e perché si ha paura di questi referendum? Nel rispondere voglio innanzitutto rivolgermi alle cittadine e ai cittadini, ricordando loro una verità storica incontestabile: mai nessun diritto sul lavoro è stato conquistato, nel nostro Paese, rimanendo a casa, a partire dallo Statuto dei lavoratori. Gli avanzamenti sociali sono sempre arrivati solo grazie alla mobilitazione, alla lotta, alla partecipazione democratica. Più in generale, sull’idea di democrazia, credo ci sia un distinguo netto tra chi pensa che ci si debba limitare a votare un uomo o una donna soli al comando una volta ogni cinque anni, lasciando mani libere al manovratore, e chi – come noi – ritiene che la democrazia vada alimentata ogni giorno con il protagonismo di lavoratrici e lavoratori, pensionate e pensionati che, attraverso i corpi intermedi e – quando c’è l’occasione – anche attraverso la democrazia diretta, possono incidere concretamente sulle scelte politiche ed economiche che influiscono sulle loro prospettive e su quelle delle nuove generazioni. Inoltre, credo francamente che da parte di diversi esponenti della classe dirigente ci sia una sorta di scollamento dalla realtà. Continuano a sbandierare record del tutto immaginari, mentre imperversano la crisi industriale e quella sociale, e mentre lavoratori, pensionati e giovani stanno subendo un brutale impoverimento a causa di un’inflazione da profitti che non è stata ancora recuperata.
I malpancisti albergano anche nel centrosinistra. Di Calenda e Renzi sappiamo, ma anche dentro il PD c’è una fronda anti-Schlein. Il leitmotiv è sempre lo stesso: la campagna del Partito Democratico sui referendum è un regalo alla destra. Dai sondaggi risulta che la stragrande maggioranza degli elettori del PD che dichiara di volersi recare alle urne intende votare sì a tutti e cinque i referendum. Con percentuali inferiori, ma pur sempre nettamente maggioritarie, sono favorevoli al merito dei quesiti sul lavoro anche gli elettori dei partiti di Centrodestra. Discorso diverso vale per il referendum sulla cittadinanza, per il quale a destra c’è molta più freddezza, ma anche su questo – se si considerano tutti gli elettori – la maggioranza assoluta degli intervistati sostiene la necessità di dotare il nostro Paese di una legge finalmente civile sulla cittadinanza. Noi ci rivolgiamo a tutte e tutti. Ogni elettore ha un’occasione imperdibile: diventare parlamentare per un giorno e – senza delegare nessuno, mettendo una croce sul Sì nella scheda – può far conquistare, dal giorno dopo, diritti fondamentali alle lavoratrici e ai lavoratori italiani e stranieri, restituendo loro forza, dignità e libertà, che è innanzitutto libertà dal bisogno, dall’insicurezza e dallo sfruttamento.
Per restare ai Dem, gli ipercritici della Segretaria sostengono, più o meno esplicitamente, che comunque vada Elly Schlein si consegna a Landini. Questo è un modo tutto politicista di guardare la realtà, che prescinde totalmente dal merito dei problemi che stanno a cuore alle persone in carne ossa. Nessuno si consegna a nessuno. Molto più semplicemente, i sostenitori dei referendum vogliono: il ripristino dell’articolo 18 per dire basta ai licenziamenti illegittimi nelle aziende sopra i 15 dipendenti; l’eliminazione del tetto massimo di solo sei mensilità per gli indennizzi a chi viene licenziato ingiustamente nelle aziende sotto i 16 dipendenti; la reintroduzione delle causali per i contratti a termine, in modo da porre un freno alla precarizzazione dilagante; l’introduzione della responsabilità dell’impresa committente per gli infortuni che si verificano lungo la catena degli appalti, con l’obiettivo di rendere più sicuro il lavoro; il dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale per ottenere la cittadinanza di chi vive, studia e lavora regolarmente in Italia. Vogliamo, in sostanza, rimettere al centro un lavoro stabile, sicuro, ben retribuito. Non dobbiamo mai dimenticare che oltre mezzo milione di ragazze e ragazzi, in poco più di dieci anni, hanno lasciato il nostro Paese per cercare un’occupazione più dignitosa all’estero. Per avere idea della grandezza del fenomeno, è come se una città delle dimensioni di Genova – tutta popolata unicamente da giovani – fosse completamente scomparsa dalla cartina geografica dell’Italia. Veniamo accusati di condurre una battaglia ideologica e di retroguardia, ma è vero il contrario: la nostra battaglia è molto concreta ed è tutta rivolta al futuro e alle nuove generazioni. Se non fermiamo questa vera e propria emorragia di intelligenza e di speranza, le prospettive economiche, sociali e democratiche del nostro Paese saranno sempre più fosche. E per farlo, un primo passo decisivo è proprio quello di cambiare la legislazione sul lavoro, contrastando una precarietà che, sempre più spesso, da lavorativa diventa esistenziale. È questa la vera emergenza da affrontare e risolvere, altro che le invasioni inesistenti da cui difendersi. E anche in questo senso, riconoscere la cittadinanza a chi nasce, studia e lavora in Italia è fondamentale.
Cittadinanza, lavoro, diritti sociali e, per andare oltre i quesiti referendari, una pace nella giustizia, per dirla con Papa Francesco, o una pace “disarmata” e “disarmante”, con le parole del suo successore Leone XIV: se non parte da questi temi e da queste battaglie la sinistra può ancora definirsi tale? Questa tornata referendaria ha una portata che va al di là del contenuto dei singoli quesiti, che ovviamente resta importantissimo. L’obiettivo è quello di cambiare radicalmente un modello di sviluppo ormai insostenibile sia socialmente, che economicamente, che dal punto di vista ambientale. E la situazione peggiorerebbe irrimediabilmente se il progetto di trasformare il modello produttivo e industriale europeo in un’economia di guerra diventasse realtà. Questa scelta, oltretutto, contraddirebbe alla radice la strategia del green deal e la lotta al cambiamento climatico, che rappresenta la principale minaccia alla sopravvivenza stessa della specie umana. Un pericolo che non scompare solo perché lo ha deciso Donald Trump, consigliato dai negazionisti di cui si è circondato. Noi riteniamo che occorra andare in tutt’altra direzione e le parole sia di Papa Francesco che di Papa Leone lo hanno spiegato come meglio non si poteva. Bisogna disarmare il mondo e rendere di nuovo la pace possibile. Partendo da un cessate il fuoco immediato in Ucraina e a Gaza, dove si sta consumando un orribile assedio di tipo medievale, con la popolazione palestinese che muore non solo sotto le bombe, ma anche per fame, per sete, per malattia. È questa la prospettiva per cui deve battersi la Sinistra, se non vuole perdere il senso della sua funzione storica e se vuole giocare un ruolo nel tempo che ci è dato vivere. Dobbiamo costruire una società italiana ed europea fondata sulla pace, sulla giustizia sociale, sul welfare pubblico e universalistico, su un lavoro di qualità e ben retribuito. È innanzitutto questo il compito della Sinistra.
La presidente del Consiglio magnifica i risultati ottenuti dal suo governo in economia e sull’occupazione. Siamo ormai a 26 mesi consecutivi di calo della produzione industriale. Il Pil è tornato allo “zero virgola”. I salari italiani hanno perso il 9% tra il 2008 e il 2024, e sono tra i più bassi d’Europa. La presunta “nuova” occupazione è tutta concentrata sugli over 50: non sono nuovi posti, sono lavoratori costretti a subire l’allungamento dell’età pensionabile determinato dalla legge Monti-Fornero che – anche in questa legislatura, e nonostante i solenni impegni della campagna elettorale – non solo non sarà cancellata, ma viene addirittura peggiorata. Il finanziamento del Servizio sanitario nazionale in rapporto al Pil sta raggiungendo il livello più basso di sempre. Pubblica amministrazione, Istruzione, Ricerca, Regioni ed Enti locali stanno subendo tagli lineari pesantissimi. Le diseguaglianze sociali e i divari territoriali stanno esplodendo. Questi sono dati di realtà, e non possono essere cancellati da nessuna propaganda. In definitiva, l’alternativa che avranno di fronte le italiane e gli italiani l’8 e il 9 giugno è piuttosto semplice: se ritengono che “tutto va bene madama la marchesa”, possono pure votare No per lasciare tutto così com’è. Se invece pensano che le cose nel nostro Paese non vadano affatto bene e che sia necessario cambiarle profondamente, allora, hanno un’occasione straordinaria a portata di mano per farlo: votare Sì a tutti e cinque i quesiti, determinando un risultato immediato e tangibile dal giorno successivo per milioni di persone; ma, soprattutto, indicando chiaramente una direzione radicalmente alternativa rispetto alle politiche economiche e sociali degli ultimi decenni.
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