Quando la giustizia diventa bersaglio—il caso Francesca Albanese sotto sanzioni USA

Nel luglio 2025, gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni economiche e finanziarie contro Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori palestinesi occupati.
L’accusa ufficiale—rilanciata dal segretario di Stato Marco Rubio—sostiene che l’azione di Albanese rappresenti una “guerra politica ed economica” contro Stati Uniti e Israele, definita “illegittima e vergognosa” (Fonte: AP).
Albanese, attiva su questi temi sin dal 2022, ha denunciato Israele per possibili crimini di guerra o addirittura genocidio, sostenendo iniziative presso la Corte Penale Internazionale (ICC) e pubblicando rapporti come From Economy of Occupation to Economy of Genocide (Rapporto ONU), in cui ha identificato decine di aziende complici nella gestione militare dell’occupazione.
Reazioni interne al sistema ONU e attori globaliLa decisione americana ha suscitato condanne internazionali:
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Il portavoce dell’ONU Stéphane Dujarric ha parlato di “precedente pericoloso” nell’uso di sanzioni unilaterali contro un esperto indipendente, definendo inaccettabile l’attacco (ONU News).
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L’Alto Commissario ONU per i diritti umani Volker Türk ha chiesto la revoca immediata delle sanzioni, invocando il dialogo al posto della repressione.
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Amnesty International ha definito la mossa uno “spregevole attacco ai fondamenti della giustizia internazionale” (Amnesty).
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Anche la International Commission of Jurists (ICJ) ha denunciato la violazione della Convenzione ONU del 1946 sulle immunità degli esperti indipendenti, chiedendo un ritiro immediato (ICJ).
Secondo fonti Associated Press, le sanzioni hanno comportato la chiusura dei conti correnti collegati a circuiti finanziari statunitensi, compromettendo lo stipendio, i trasferimenti e le attività quotidiane della relatrice.
Le misure non si limitano al blocco delle transazioni dirette:
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Carte di credito e debito collegate a circuiti internazionali sono state sospese, impedendole di compiere operazioni anche ordinarie, come prenotazioni di voli o pagamenti online.
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Alcuni fornitori di servizi digitali (piattaforme di hosting, abbonamenti a database accademici, strumenti di lavoro online) hanno interrotto unilateralmente i contratti, in quanto soggetti alle restrizioni americane.
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Le donazioni e i contributi di sostegno inviati da istituzioni accademiche o ONG straniere rischiano di essere bloccati se transitano su banche che cooperano con il sistema USA.
Inoltre, le sanzioni hanno avuto ripercussioni anche sulla sua vita familiare: i conti condivisi con il coniuge e i risparmi destinati ai figli risultano congelati, costringendo la famiglia a ripiegare su sistemi bancari alternativi e, in alcuni casi, su aiuti da reti personali.
La misura si traduce anche in un danno alla reputazione professionale: istituti di ricerca e università che in passato avevano invitato Albanese a conferenze o seminari hanno iniziato a esitare, temendo conseguenze legali o diplomatiche. Lo stesso vale per compagnie aeree e alberghiere, che in alcuni casi hanno rifiutato prenotazioni a suo nome.
In un’intervista ad Al Jazeera, Albanese ha definito le sanzioni “tecniche mafiose di intimidazione”, sottolineando che il loro obiettivo non è solo paralizzare le sue finanze, ma isolarla socialmente e professionalmente, riducendo la sua libertà di movimento e la sua credibilità pubblica. Nonostante ciò, ha ribadito di non sentirsi intimidita e di voler proseguire la propria missione “per la giustizia e il diritto internazionale” (Al Jazeera).
Oltre alle sanzioni formali, emergono voci di pressioni diplomatiche parallele volte a bloccare la possibile rielezione o estensione del mandato di Albanese (iniziato nel 2022).
Alcuni attivisti ostili alla relatrice hanno diffuso accuse di violazioni del codice di condotta ONU — come presunti compensi tramite intermediari — mai confermate ufficialmente.
Secondo ambienti ostili ad Albanese, la relatrice avrebbe promosso una rete globale di ONG e individui a sostegno delle cause palestinesi, in una forma di “lawfare” percepita da Israele e USA come propaganda ostile.
Considerazioni finaliDi fronte a una vicenda come questa, che altro aggiungere? I fatti parlano da soli. È estremo e al tempo stesso profondamente contraddittorio che un organismo internazionale, nato per essere paradigma di imparzialità e giustizia globale, assista oggi al ricatto diretto contro uno dei suoi rappresentanti più esposti.
Se davvero gli Stati Uniti avessero avuto rimostranze legittime, avrebbero potuto presentare una protesta formale al Dipartimento ONU competente, chiamato a valutare il comportamento della relatrice. Ma scegliere la strada delle sanzioni personali significa negare l’autorevolezza dell’ONU stesso, di cui paradossalmente Washington è parte integrante e che dichiara ufficialmente di riconoscere.
Potremmo elencare molte altre considerazioni, tutte fondate sul piano della logica. Eppure, qui siamo al di fuori di ogni logica. Il messaggio che trapela è chiaro: chi osa richiamare i potenti alle proprie responsabilità può essere ridotto al silenzio attraverso strumenti finanziari e diplomatici.
Sanzionare una relatrice ONU nel nome della “sovranità” segna la cruda realtà di istituzioni piegate al condizionamento geopolitico. È emblematico che un meccanismo pensato per punire governi o violatori dei diritti venga oggi usato contro un’alta funzionaria impegnata a denunciare strutture di disuguaglianza e violenza sistemica.
Estendendo questa logica agli Stati sanzionati, si ottiene lo stesso risultato: i popoli interni soffrono embargo, restrizioni bancarie, paralisi economica. Una “giustizia” che diventa strumento di arbitrio occidentale.
In conclusione, il paradosso è evidente: l’organismo chiamato a garantire un vivere civile ed equo si piega a meccanismi che privilegiano l’impunità e sviliscono la giustizia internazionale.
Questo episodio segna un precedente pericoloso: se il sistema internazionale si dimostra incapace di difendere l’indipendenza dei suoi funzionari, la realtà è quella di un silenzio imposto a chi denuncia le violazioni più gravi.
L’orizzonte è desolante: persino gli stessi Stati membri adottano criteri simili. Emblematico è il comportamento degli Stati occidentali verso la Siria, arrivati a sanzionare un capo di Stato e a spiccare, pochi giorni fa, un mandato di arresto per fatti risalenti al 2012, senza alcun reale contraddittorio.
Eppure, nello stesso periodo, durante la presidenza di al-Shaara, il nuovo esercito siriano ha compiuto un massacro negli insediamenti della costa alawita, uccidendo oltre 1.000 civili soltanto per la loro etnia. Un crimine terribile, rimasto però completamente ignorato dalla comunità internazionale.
Siamo così di fronte all’ennesima applicazione di una logica a due pesi e due misure: si colpisce selettivamente chi non rientra negli schemi geopolitici occidentali, mentre si chiude un occhio—o entrambi—davanti a violenze ben documentate. Con queste mani sporche, difficilmente il sistema internazionale potrà oggi alzare la voce a difesa di Francesca Albanese.
Riferimenti-
ONU News – Portavoce Stéphane Dujarric contro le sanzioni USA(Fonte: ONU News – UN condemns sanctions on independent experts)https://news.un.org
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OHCHR – Rapporto di Francesca Albanese “From Economy of Occupation to Economy of Genocide”(Fonte: OHCHR – Report of the Special Rapporteur on the situation of human rights in the Palestinian territories occupied since 1967)https://www.ohchr.org
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Associated Press – Effetti concreti delle sanzioni(Fonte: AP News – US sanctions UN Palestine rights investigator Francesca Albanese)https://apnews.com
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Al Jazeera – Intervista a Francesca Albanese(Fonte: Al Jazeera – UN expert Francesca Albanese says US sanctions won’t silence her)https://www.aljazeera.com
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Amnesty International – Condanna delle sanzioni USA(Fonte: Amnesty International – US: Sanctioning UN expert Francesca Albanese is an affront to justice)https://www.amnesty.org
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International Commission of Jurists (ICJ) – Violazione della Convenzione ONU del 1946(Fonte: ICJ – ICJ calls on US to lift sanctions against UN expert Francesca Albanese)https://www.icj.org
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