Meloni come Mussolini: la premier rivendica il caso Almasri come fece il Duce per l’omicidio Matteotti

La reazione della premier
La presidente del Consiglio ha usato lo stesso schema: difesa dei suoi gregari e sfida allo Stato. Possibile immaginare che la somiglianza tra i due discorsi sia una coincidenza? È improbabile

Poche ore dopo la decisione del tribunale dei ministri di chiedere che Nordio, Piantedosi e Mantovano siano mandati a processo per la fuga del “boia” libico Osama Almasri, Giorgia Meloni ha diffuso una dichiarazione che sembra copiata dal famoso discorso del 3 gennaio del 1925 di Benito Mussolini. Fu il discorso che segnò la nascita vera e propria della dittatura. Mussolini era in difficoltà dopo l’uccisione da parte di una banda fascista del capo dei socialisti, Giacomo Matteotti. E decise di giocarsi tutto sfidando magistratura e opposizione. Si presentò in Parlamento e pronunciò frasi che avrebbero potuto affondarlo e sulle quali, invece, costruì il suo potere che poi durò più di 18 anni: “Se il fascismo è un associazione a delinquere – disse – a me la responsabilità di questo”. Una settimana prima il duce aveva convocato i direttori dei giornali amici e aveva detto loro: “Tentare di separare il Capo dai gregari è fatica vanissima ed insana”.
La presidente del Consiglio ha usato lo stesso schema: difesa dei suoi gregari e sfida allo Stato. Possibile immaginare che la somiglianza tra i due discorsi sia una coincidenza? È improbabile. Con la formazione politica che Giorgia Meloni possiede, certamente conosce bene quel discorso del duce. Anche i tempi di reazione sono simili. Il rilascio del criminale libico è del 21 gennaio, sono passati poco più di sei mesi. L’uccisione di Giacomo Matteotti è del 10 giugno 1924, il discorso di Mussolini è successivo di poco meno di sette mesi. La struttura dei due discorsi, e anche alcune espressioni, sono assolutamente identici. Anche l’obiettivo politico. Giorgia Meloni, dopo mesi di silenzi suoi, traccheggi e contraddizioni nei discorsi dei ministri e nelle considerazioni inviate – per difendersi – al tribunale dell’Aja, ora esce allo scoperto. Non parla più di incidente, né attribuisce la colpa alla Corte d’Appello, come il governo ha fatto finora, ma rivendica la scelta politica di aver deciso per la fuga di Almasri. Con l’idea che cercare vie d’uscita laterali è troppo rischioso e conviene rivendicare la scelta compiuta per l’interesse nazionale.
Ora si tratta di capire due cose: la prima è questa: esiste un interesse nazionale che prevale su un mandato di cattura internazionale? Ed è possibile contrastare un tribunale formalmente riconosciuto dal governo italiano, per ragioni di opportunità politica? La seconda cosa da capire è questa: qual è l’interesse nazionale che viene invocato? Forse la necessità che Almasri non parli di fronte a un tribunale straniero e non racconti del rapporto che aveva coi vari governi italiani? E quali erano questi rapporti? C’erano degli accordi precisi tra il governo italiano e i capi dei lager dove venivano ( e ancora vengono) torturati e uccisi i profughi?
P.S. È clamoroso che di fronte a tutto ciò Nordio e Piantedosi e Mantovano non diamo le dimissioni. Per la fuga di Kappler (che certo non era colpa di un ministro) il ministro della difesa Lattanzio, democristiano, si dimise. Oh, davvero quei democristiani erano persone perbene.
l'Unità