La giustizia italiana e una crisi di sistema che non si può più ignorare


Milano, protesta dei magistrati dell’Anm contro la riforma Nordio (LaPresse)
Al di là dei singoli casi di conflitto con la politica, al di là delle esondazioni dei pm. È l’impianto istituzionale che, per come è costruito, espone i magistrati alla tentazione o al sospetto di agire fuori dal proprio ruolo. L’irragionevole difesa dello status quo
Con tutto il rispetto, francamente, anche basta, grazie. Con tutto il rispetto, onestamente, anche meno scemenze, grazie. Con tutto il rispetto, sinceramente, quando si parla di giustizia in Italia, forse, sarebbe il caso di togliersi gli affettati dagli occhi e iniziare a guardare la realtà per quello che è, non per quello che vorremmo vedere. E la realtà, purtroppo, ci dice qualcosa che da anni ci ostiniamo a non voler vedere. Qualcosa che non riguarda le singole inchieste della magistratura. Qualcosa che non riguarda il singolo caso oggetto di conflitto. Qualcosa di molto più importante della storia di Almasri, della storia dei paesi sicuri, della storia dell’urbanistica, della storia di Ilva. Il problema, quando si parla di giustizia in Italia, è che in troppi fanno finta di vivere in un paese semplicemente che non c’è.
Il punto non è soltanto ragionare sulle esondazioni delle procure. Il punto è capire che per come è fatta oggi la giustizia italiana è impossibile non pensare che dietro un’inchiesta ci possa essere qualcosa di diverso dalla volontà genuina di accertare un fatto. La colpa non è dei magistrati, neppure di quelli più disinvolti. La colpa è non voler capire che il dramma della giustizia italiana è negare che vi sia un sistema malato, tossico, corrosivo, costruito in modo tale da rendere le esondazioni sistematiche, da rendere la criminalizzazione della politica come un atto dovuto, da rendere la politicizzazione della magistratura come un tratto della normalità giudiziaria. Quando si parla del conflitto tra magistratura e politica non è sufficiente ragionare solo sui rapporti di forza che esistono in un determinato periodo storico.
Bisognerebbe avere il coraggio di fare un passo in avanti e capire che quello che abbiamo ormai accettato come la normalità coincide con un sistema che normale non è. Non è normale avere una magistratura dotata di un potere immenso e di reati vaghi per poter agire in modo discrezionale, andando a costruire processi sulla base di sospetti e non di prove. Non è normale avere una magistratura all’interno della quale si fa spesso, non sempre per fortuna, carriera sulla base dell’appartenenza correntizia, e sulla base dunque non dei risultati ottenuti ma della notorietà acquisita da un magistrato. Non è normale avere una magistratura che considera l’utilizzo del processo mediatico come un ordinario strumento di rafforzamento delle tesi accusatorie. Non è normale avere un magistrato che quando sbaglia più che punito viene spostato da una sede a un’altra. Non è normale avere una magistratura che considera un suo dovere occuparsi non solo delle responsabilità individuali ma anche dei fenomeni sociali. Non è normale avere un sistema giudiziario rappresentato da associazioni sindacali che non considerano un’anomalia attivarsi per fare campagna elettorale contro un ministro o contro un governo e non è normale in un paese come l’Italia in cui grazie a un sistema giudiziario capace di trasformare i sospetti in sentenze a qualche magistrato potrebbe venire in mente di usare la clava giudiziaria anche per affermare le proprie idee politiche.
Quando si parla di giustizia in Italia, quando si parla del rapporto tra potere giudiziario e potere legislativo ed esecutivo, spesso si parla in astratto, si parla come se l’Italia fosse un paese normale in cui la giustizia è sempre estranea a ogni tentazione politica, in cui le indagini non vengono mai portate avanti con strumenti impropri, in cui gli strumenti della giustizia non vengono mai utilizzati per entrare in un perimetro che nulla dovrebbe avere a che fare con il perimetro giudiziario.
Quando si parla di giustizia in Italia, però, bisognerebbe avere il coraggio di dire che le cose non stanno così, che gli equilibri tra potere giudiziario e potere legislativo non sono stati guastati dalla politica, ma sono stati guastati dai magistrati, alcuni dei quali oggi si pentono fortissimamente anche di quello che hanno fatto in passato, e che dunque prima di trasformare un’indagine in una condanna, un sospetto in una prova, un’intercettazione in una sentenza, bisognerebbe pensare se davvero, come si dice in queste ore, la delegittimazione della magistratura, di quella più disordinata e spregiudicata, sia opera della politica, brutta e cattiva, o se la delegittimazione della magistratura sia opera di chi, rifiutandosi di osservare un sistema che non funziona come dovrebbe, considera la difesa dello status quo come l’unico modo per non cambiare nulla in una stagione in cui bisognerebbe cambiare molto.
Non è una critica ai magistrati in quanto tali, ma a un impianto istituzionale che, per come è costruito, espone anche i più scrupolosi alla tentazione o al sospetto di agire fuori dal proprio ruolo. Il problema, quando si parla del caso Almasri, del caso paesi sicuri, del caso urbanistica, non è tanto ragionare sulla singola inchiesta, sul modo in cui eventualmente la magistratura abbia trovato un modo per criminalizzare la politica. Il punto, in questi casi, è provare a fare un salto logico, un salto in avanti, e ammettere che se vi sono sospetti che la magistratura possa agire non solo per mettere in luce eventuali reati ma anche per arrivare a scopi diversi la colpa non è della politica che denuncia ma di chi non capisce una verità che meriterebbe di essere illuminata: la delegittimazione della magistratura non dipende della politica ma dipende da una magistratura che ha trasformato la difesa della sua irresponsabilità nell’unico modo per difendere la nostra Costituzione. Con tutto il rispetto, francamente, anche basta, grazie.
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